00 10/03/2011 10:45
BARCELLONA, LE CERTEZZE DI PANCOTTO

In mezz'ora di chiacchierata al tavolino di un bar di via Roma, l'unica cosa per la quale Cesare Pancotto mostra un pizzico di sorpresa è che il Crodino possa essere più buono con un po' di granita alla fragola. Per il resto, la sensazione è che tutto quello (di bello) chesta accadendo al Barcellona sia per il coach di Porto San Giorgio più una conferma che altro, la quadratura di un cerchio che il suo compasso aveva iniziato a disegnare in estate. Dall'esterno, invece, la Sigma sembra tornata -risultati a parte - a giocare come in avvio di stagione, anzi forse con maggiore intensità e consistenza, soprattutto in difesa, una volta esaurito l'effetto sorpresa.

«Ogni periodo della stagione dà le sue sensazioni e le sue certezze - spiega Pancotto - oggi la squadra è più consapevole di quello che sta facendo e dei miglioramenti che occorre ancora fare. Essendo una squadra completamente nuova, una matricola ambiziosa ma con tante "scommesse", ha dovuto imparare a conoscersi; oggi le resta da migliorare quello che conosce. L'esempio è la crescita in difesa: non si può dire che prima non difendessimo, ma ora abbiamo appreso il metodo per farlo meglio e con più continuità, di sfruttare il momentum come dicono gli americani, mentre in attacco nelle ultime partite abbiamo selezionato di più il tiro da due rispetto alle conclusioni da tre punti. Detto questo, sappiamo anche che questo non è un punto d'arrivo, che possiamo e dobbiamo migliorare».

- Il Barcellona di inizio stagione non sembrava la classica squadra di Pancotto; ora si vedono maggiore controllo, la palla data dentro con più efficacia, un play che sta nei giochi e forza il minimo. Vede il suo marchio?

«Non saprei. L'introduzione dei 24" ha modificato il ruolo dell'allenatore, ma la cosa più importante è che il suo credo non va imposto, deve adeguarsi alle caratteristiche dei giocatori. Questo è un percorso che abbiamo fatto, e mi piace pensare che i miei ragazzi siano stati coinvolti nel sistema perché secondo me l'allenatore moderno deve far appartenere ai giocatori il suo basket. In avvio di stagione eravamo diversi? È un po' la differenza che c'è tra conoscere un atleta e allenarlo. Tante sfide iniziali oggi si possono forse considerare vinte: Crispin più playmaker, Bucci in quintetto in Legadue, Mocavero con minuti importanti o Ghiacci restituito al basket italiano. Questo è il progetto dell'allenatore, ma a sviluppare i valori indicati dal tecnico devono essere i giocatori».

- Che prospettive può avere questo Barcellona alla luce del grande equilibrio del torneo?

«Io dico che per avere un ottimo futuro devi fare un grande presente. In questo momento stiamo acquisendo il metodo per fare il miglior campionato possibile, ma poi i playoff avranno altre regole anche se quello che serve in campionato è propedeutico sempre in termini di metodo. Quanto all'equilibrio, la mia impressione è che nell'arco della stagione vengano premiate le squadre che hanno saputo dare continuità al loro lavoro e tra queste ci siamo sicuramente noi: non avremo fatto dieci vittorie consecutive, per dire, ma nemmeno due sconfitte di fila. Poi, la Legadue premia il lavoro in palestra più ancora della Serie A perché c'è maggiore equilibrio nella qualità dei giocatori.

Certo, nelle zone alte noi siamo l'eccezione perché tutte le altre hanno alle spalle almeno tre anni in questa categoria spesso con grandi ambizioni, essere la novità della stagione ci responsabilizza.

Siamo partiti molto determinati, dobbiamo lavorare perché tutto il buono che abbiamo fatto possa migliorare, e questo avviene solo attraverso il lavoro quotidiano».

- Siete la squadra che ha cambiato meno insieme a Udine e Casale, domenica affrontate Forlì che invece, come San Severo e Reggio Emilia, ha letteralmente rivoluzionato il roster tanto che il bilancio di 1-6 nel girone di ritorno non è indicativo quanto l'ultima vittoria a Lodi con gli innesti di Huff e Jones.

«In stagione regolare, adattabilità significa trovarsi di fronte a giocatori nuovi, mentre nei playoff, giocando più volte in pochi giorni contro la stessa squadra, sono le situazioni tecniche ad essere oggetto di adeguamenti. I valori tecnici oggi contano meno dell'inizio: pesano di più la determinazione e le motivazioni superiori che noi dobbiamo avere, senza farle dipendere dall'avversario che affrontiamo ma dal desiderio che riusciamo ad avere».

- Le altre squadre migliori di questo girone di ritorno sono le tre dietro di voi: Rimini, Scafati e Veroli. Si aspettava, con sei successi nelle ultime otto giornate, di ottenere di più in termini di classifica?

«Il nostro più grande merito finora è di non esserci mai fermati all'ultima partita giocata, ma di aver sempre guardato avanti perché 30 partite uguali non le fa mai nessuno. Abbiamo cercato di sbagliare meno possibile e di far nascere nei giocatori la mentalità giusta per andarci a prendere quelle gare in cui sono gli altri a sbagliare. Quanto alla classifica, oggi il campionato è indecifrabile, sulle 22 giornate c'è stato più equilibrio di tutti gli altri anni».

- Sarà, ma siete l'unica squadra reduce da tre vittorie consecutive seguite alla "botta" di Veroli. La rabbia si è trasformata in energia positiva?

«No, secondo me abbiamo cambiato registro grazie alla continuità del lavoro e alla crescita dei giocatori, Veroli non è il classico veleno diventato medicina. Piuttosto ci siamo resi conto di quello che serviva per superare il momento, e anche questo è stato uno dei meriti principali della squadra».

Max Passalacqua

Fonte:Gazzetta del Sud