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Grazie ancora della lezione, prof Franco Scoglio.

Ultimo Aggiornamento: 09/01/2009 21:11
03/10/2008 13:41
 
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Patrizio
Grazie ancora della lezione, prof...

Tratto da Yahoo.it
Autore Stefano Benzi
ven ott 03 11:19

Tre anni fa moriva Franco Scoglio: fu un fatto che mi sconvolse, come credo un po' tutti perché fu improvviso. Nel mio caso però fu peggio perché Scoglio morì negli studi della tv dove sono nato professionalmente e dove ho lavorato per tanti anni, durante una trasmissione che avevo condotto spesso in passato e tra tanti amici e colleghi che conosco da sempre.

Mi capita spesso di ripensare al prof; con il rapporto non fu mai facile, né quando da cronistino locale tentavo di avvicinarlo per una breve intervista né quando mi sono ritrovato a gestire le sue imprevedibili ed estemporanee uscite negli studi di Antenna Tre dove era uno degli opinionisti di una trasmissione che conducevo due volte alla settimana, tutte le settimane.

Sono andato a recuperare quello che scrissi a caldo, la mattina dopo la sua morte, il 4 ottobre di tre anni fa.

Sottoscrivo ogni singola parola che scrissi di lui allora. E gli dedico questo piccolo omaggio nel mio blog. In un calcio di personaggi calcolati e di allenatori accompagnati da agente, ufficio stampa e consulenti per l'immagini mi manca molto il suo modo ruspante e scomodo.



La prima volta che ho conosciuto Franco Scoglio il Genoa era in un ritiro di preparazione all'ennesimo campionato di Serie B: dopo la salvezza con il Modena, all'ultima giornata di un campionato di tre anni prima, il grifone ci aveva provato ogni anno a tornare nella massima divisione, senza mai riuscirci. Ed era rimasto lì, nel limbo cadetto, in attesa di tornare alla grande e ricordare che in fin dei conti il calcio era nato proprio qui, sotto la lanterna; e che bene o male quei nove scudetti dovevano pur significare qualcosa per il calcio italiano e internazionale

Scoglio era seduto a tavola: i suoi giocatori erano a fare il riposino del dopo pranzo e lui allenava noi giornalisti: io avevo 22 anni e vederlo disegnare schemi con grissini e bottiglie vuote, trasformando la sua difesa in bicchieri a eseguire una ipotetica ‘zona sporca', mi faceva uno strano effetto. Mi sembrava un po' pazzo: ma geniale, e d'altronde il confine tra i due aspetti molto spesso è davvero sottile. Nel suo caso esilissimo.

Guardava me, e i colleghi come se fossimo davvero degli alunni: il soprannome ‘professore' nacque lì. Ma docente Franco Scoglio lo era davvero: laureato in pedagogia e diplomato all'Isef aveva abbandonato ben presto la possibilità di dedicarsi a una carriera didattica tradizionale, insegnando solo e soltanto calcio. Non amava le banalità e non sopportava le dietrologie: aveva una forma di dignità che poteva sembrare presunzione, ma in fondo era solo timidezza.

Per lui, che si definiva un emigrato dal sud nel profondo nord, lavorare a Genova, Udine o Bologna significava farsi una bella corazza, per dimostrarsi essere ancora più sicuro del suo pensiero e della sua competenza.

Quando si trattava di calcio, Scoglio si sentiva quasi sempre in guerra con il mondo, ma se il mondo decideva di lo accoglierlo, allora era il miracolo: perché si calava completamente nella realtà nella quale viveva e la faceva propria, regalandogli consapevolezza e dignità.

Fu esattamente quello che accadde a Genova: quando nella sua prima intervista definì il pubblico del grifone il ‘popolo genoano' la gente rossoblu non ha più avuto dubbi: quello era il suo allenatore. E Scoglio a Genova visse tra un piccolo albergo sul lungomare di Pegli e il Grand Hotel di Arenzano immerso nei suoi schemi di gioco e nei suoi dati sulle palle inattive.

Frugale, essenziale, sempre in viaggio, con la testa in perenne movimento e foglietti pieni di appunti in tasca: la sua squadra ideale era l'Uruguay degli anni '30, e uruguaiani furono i suoi primi acquisti, Perdomo, Aguilera e Ruben Paz. Un'intuizione azzeccata solo parzialmente: ma quando provò Ruotolo ed Eranio sulla fascia e vide che funzionava, ribattezzò l'alchimia la ‘catena di destra', costruendo il primo tassello di una squadra straordinaria che Bagnoli poco tempo dopo avrebbe portato al quarto posto e alle semifinali di Uefa.

Per Scoglio il Genoa era una malattia: chiamato e allontanato, richiamato ed esonerato da Spinelli, richiamato ancora e licenziatosi con Dalla Costa, aveva scelto come patria questa città storica, altezzosa e un po' snob, e come tifosi questa gente irascibile, sognatrice, orgogliosa e molto, molto imprevedibile e passionale. Tale e quale a lui.

Con lui ho avuto scontri e idilli: durante una conferenza stampa una mia domanda, un po' critica sulla posizione in campo di Onorati, non gli era piaciuta. Mi disse "Lei, che beve ancora latte alla mattina, mi tolga questo becco (il microfono n.d.r.) da sotto il naso e se vuole parlare di calcio con me si faccia la barba, si tagli i capelli e cerchi di studiare almeno un decimo di quello che ho studiato io".

Rimasi di sale e non ebbi il coraggio di replicare: tre giorni dopo mi riconobbe al campo di allenamento. Forse perché nel frattempo mi ero fatto la barba e tagliato i capelli, e per prima cosa gli tesi la mano, mi chiese scusa, e diventammo amici. Di tanto in tanto ci si sentiva, o per qualche intervista o per parlare del Genoa. E se qualcuno in una delle mie trasmissioni lo tirava in ballo chiamava in diretta e rispondeva a tono: il prof era una sorpresa continua. Un assegno in banca per fare ascolti e parlare di calcio in modo mai banale.

Quando da Genova mi trasferii a Milano e iniziai a lavorare per Antenna Tre avevo tre opinionisti fissi: uno era Maurizio Mosca, gli altri erano Franco Scoglio e Nedo Sonetti. La trasmissione, Azzurro Italia durava due ore: erano 120 minuti di autentica tensione, perché la sensazione era quella di essere seduti su una bomba ad alto potenziale con un innesco molto vicino e un po' instabile. Tenerli a bada era quanto meno problematico, ma con il tempo è diventato divertente, e alla fine irrinunciabile. Fu una delle esperienze professionali più gratificanti e divertenti della mia vita. Credo di avere imparato più sul calcio in cinque anni di trasmissioni così che in oltre venti anni di frequentazioni di colleghi e stadi.

Con il prof come allenatore ho lavorato per quattro anni, con il prof come opinionista altri tre. E ancora oggi quando mi vedeva fare il wrestling in televisione mi guardava con gli occhi piccoli piccoli e mi sussurrava "Ma non cresci mai tu? Tagliati i capelli, fatti la barba e diventa un po' serio". Ma poi mi confidava che il mio programma lo guardava anche lui. E rideva: e mi chiedeva informazioni sui giocatori brasiliani che vedeva nelle mie telecronache di Brasileirao.

Una lezione di umiltà, parecchie di calcio ma alcune anche di televisione e di contenuti.

Ancora grazie della lezione prof, ma almeno adesso, datti una calmata.


03/10/2008 13:51
 
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Patrizio
Professore rimarrà per sempre nel mio cuore.... Grazie per tutto ciò che ha fatto per me e per il mio defunto nonno.... L'Italia intera ha perso una persona solare, educata e sincera.... Grazie ancora....Professore....
26/10/2008 22:50
 
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bella lezione non c'è che dire
09/01/2009 21:11
 
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Conte
www.youtube.com/watch?v=2VsJwTDf-n8&eurl=&feature=player_...


da vedere
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Nonostante tutto sogno ancora...

Matur0
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